martedì 27 dicembre 2011

da Enzo Pelella

Ho iniziato a frequentare il Pci nel 1948 (a 12 anni) insieme a mio padre Alfredo, operaio tornitore specializzato.
Il Pci ha avuto un ruolo importante, nella storia d’Italia e del movimento operaio internazionale. Era un’organizzazione grande e complessa e, come tale aveva luci e ombre. A me interessa sottolineare, qui, un solo aspetto: la funzione educativa che ha esercitato tramite i suoi aderenti. Anche correndo il rischio di essere agiografico.
L’informazione: Mio padre è stato il primo degli “insegnanti” di questa scuola. Sin dall’età di dodici anni, mi chiedeva spesso di leggergli un articolo dal quotidiano (l’unità) che portava a casa; con la scusa “che era stanco”. Purtroppo scomparve nel ’51, ma nel frattempo mi ero abituato a leggere il giornale.
Pensare: Nel ’52, grazie a un accordo sindacale, fui assunto all’ex Silurificio, fabbrica dove la maggioranza degli operai erano comunisti. Lì iniziò quella che ritengo la mia università.
Per un periodo feci l’apprendista nel reparto attrezzi. Qui mi capitò di avere una discussione con un operaio sul modo di eseguire un lavoro. La discussione ebbe fine quando quest’operaio disse che aveva ragione lui perché aveva più esperienza. Non ero convinto e andai chiedere consiglio a un altro operaio. Questo mi rispose che “l’esperienza non ce l’ha chi è campato assai, ma chi ha pensato assai sui fatti della vita”.
Libertà: “ricordati che l’operaio deve guadagnare sempre una lira in meno di quanto vale, perché quella lira è la sua libertà” mi rispose un operaio con il quale mi lamentavo del prezzo di un cottimo.
Solidarietà: Dal primo giorno di lavoro nell’ex Silurificio fui destinato alla prima stazione di una catena di montaggio. Fui subito “adottato” dai miei compagni di lavoro più anziani, anche perché molti di loro era stati allievi di mio padre.
Il primo giorno lavorai 6 ore, il secondo 12, il terzo 24. Durante la notte, naturalmente, avevo sonno. Per combattere la sonnolenza approfittai del fatto che il tempo di esecuzione assegnato alla mia mansione era maggiore di quello reale e di essere il primo della catena, così mi avvantaggiai un poco di lavoro e andai a farmi un giro fuori dal capannone. Al mio ritorno, dopo un po’, un amico di mio padre, che lavorava in un altro reparto, mi raggiunse e mi redarguì: “ Hai un dovere di solidarietà verso i compagni di lavoro e se hai tempo lo devi impiegare ad aiutare loro, no per passeggiare.”
Rigore: In fabbrica funzionava una mutua aziendale, amministrata da un consiglio di amministrazione composto da rappresentanti dell’azienda e dei lavoratori. Il Presidente era un rappresentante della direzione mentre l’amministratore delegato era un lavoratore.
La mutua, tra le altre cose, gestiva un armadio farmaceutico con prodotti acquistati direttamente.
Venne alla luce che un rappresentante aveva convinto (dopo molte insistenze) l’amministratore delegato ad accettare una percentuale sugli acquisti (a lui riservati) che altrimenti tornava alla casa farmaceutica.
Saputa la cosa ci fu subbuglio in fabbrica e unanime condanna della cellula comunista e della relativa rappresentanza nella CGIL. Indignazione degli operai perché :”doveva prendersi il denaro e versarlo alla cassa della mutua.””
L’indignazione fu tanta che la Commissione interna fu costretta a imporre alla riluttante direzione aziendale il licenziamento del reo; ottenuta sotto forma di dimissioni.


Dignità: Avevo meno di vent’anni e svegliarsi alle sei 6 giorni su 7 era dura. Per cui, qualche volta, per guadagnare tempo evitavo di sbarbarmi.
Un giorno, il segretario della cellula mi ammonì: “se hai bisogno di dormire vai a letto prima. A lavorare si viene in ordine. Noi siamo operai! Non sottoproletari. Abbiamo una dignità”

Ascoltare: In quanto membro della Segreteria Provinciale della FGCI ero impegnato, ogni sera, a
“visitare” la sede di un circolo. Durante queste “visite” mi convinsi, ancora di più, che invece di
parlare (per dare la linea) era più conveniente per tutti ascoltare.

Responsabilità: La FGCI convocò una manifestazione politica della gioventù operaia della provincia di Napoli. Io fui incaricato di curare la partecipazione dei giovani dei comuni della zona flegrea, dove risiedeva lo stabilimento in cui lavoravo.
L’incarico affidatomi si rilevò più gravoso del previsto; soprattutto per problemi logistici. Era praticamente difficilissimo far coincidere l’attività di mobilitazione giovanile e la possibilità pratica di tornare a casa.
La manifestazione non ebbe un gran successo.
Nella successiva riunione del Comitato federale della FGCI, la segretaria di organizzazione criticò lo scarso impegno dei compagni del Comitato federale, portando ad esempio la scarsa partecipazione dei giovani della zona che mi era stata affidata. Come si usava allora la critica fu fatta citando la mia responsabilità e facendo nome e cognome.
Ritenevo e, ancora oggi ritengo, la mia responsabilità relativa. Comunque c’era. Secondo la prassi dovevo “fare l’autocritica” e io la feci. Pur convinto che la mia responsabilità fosse minima, ma altrettanto convinto che se c’era fosse onesto riconoscerlo pubblicamente. Non bisognava scappare dalle proprie responsabilità senza mediazioni o minimizzare.
Il giorno successivo la segretaria di organizzazione, in un colloquio ufficiale a due, mi fece notare che ero incostante nella gestione quotidiana. Lo riconobbi e lei mi propose, a nome della segreteria, di occuparmi della creazione e gestione del circolo FGCI del quartiere Vomero. Accettai e iniziò così una grande esperienza, ma questa è un’altra storia.

Queste sono alcune cose che ho imparato nel PCI ma, soprattutto ho imparato a imparare, ho imparato la severità, ho imparato che migliorare se stessi significa contribuire a migliorare il mondo che ci è toccato in sorte.

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