Via
de’ Giubbonari
1972, appena arrivato da Milano,
dove sfilavo da ragazzo in prima fila con “gli unici comunisti riconosciuti da
Pechino” (Servire il Popolo), sulla 94, dalla Piramide verso il Pantheon,
incrocio Giorgia, in piedi, davanti a me, seduto. Ha i libri legati con una
cinghia di gomma. “Vuoi che ti tenga i libri?” le chiedo titubante. Dopo nemmeno
un giorno stiamo già facendo l’amore a Tormarancio, dentro un cespuglio,
ambedue ancora in famiglia con case indisponibili, mentre sotto, nel canyon,
tre ragazzotti smontano una moto appena rubata. Più graffi di cardi sulle cosce
che vero piacere, ma vicinanza ansimante assoluta. Dopo, fumando, mi chiede, il
nome ce lo siamo già detti, come se fosse una condizione imprescindibile: “Io
sono comunista, tu… ?” Mi guarda ferma, con occhi, neri come laggiù tra le sue
gambe, dove io esito a guardare. “Anch’io” - farfuglio. “Comunista, del PCI,
intendo” - e tira fuori la tessera, mostrandomela con fierezza - “Tu ce l’hai?”
“Si sono del PCI, anch’io - mento non alzando gli occhi - ma non ho la tessera…
Ancora…” - aggiungo mormorando. “Allora non sei ancora del PCI”. Si è alzata e
mentre si allaccia la camicetta, con un piglio da campagna tesseramento, dice
senza esitazione - “Andiamo subito a farla” - è bella, è alta, ha le cosce
lunghe, me ne accorgo solo ora - “Alla mia sezione. Regola-Campitelli, in via
de’ Giubbonari , Campo de’ Fiori” Ha un tono perentorio, come se dicesse “senza
tessera non sto con te”. “Andiamo - dico con maggior convinzione, “ne vale la
pena” penso, ora che la guardo senza più esitazioni mentre sto per conquistarmi
il diritto di farlo - “Prendiamo la 94, va bene per andar là?”. Giorgia ride: “La
94, ma come parli? Il 94! Già, che sei di Milano” dice a sfottò, mentre
intreccia le dita con le mie. Risaliamo la proda.
Il compagno dietro una scrivania,
piccola da sembrare un banco, ha finito di compilarmi la tessera, io ho appena
pagato la quota, “soldi ben spesi” - ho pensato e mi riguardo la mia donna che
ora fa gli onori di casa. “Brava Giorgina - la saluta il ragazzo - benvenuto
compagno… Fulvio - legge e mi sorride, complimentandosi per la conquista -
…Wezzele -
storpia il nome - che sei de’
Bolzano? con ‘sto cognome…”. “No, sono d’origine austriaca, ma so’ italiano, de
Padova” - romaneggio. Poi guardo la mia Giorgia che mi porta nelle varie stanzette
anguste, fino alla sala. Ci sono tante piccole riunioni informali “de
quartiere” - in ogni stanza. “Ma perché ti chiamano Giorgina? Sei così alta…”
“Mi ci ha chiamato sempre mi’ padre e loro lo sanno” - dice come a
giustificarsi. “Per me sei Giorgia” - dico con piglio sicuro. “Giorgia, la
donna tua!” replica contenta affondando i suoi occhi nei miei. “Conosci
questo?” - è arrivata vicino al ciclostile e me lo indica. “Certo, il ciclostile”,
replico con saccenza. Individuo il correttore e glielo passo. “E questo è il
correttore. È rosa, una cosa per signore”- dico scherzoso. “Infatti io ti
correggo e poi ti mazzòlo se occorre!” dice ghignando, agitando la mano
minacciosa. “I comunicati li faccio io. - mi dice con fierezza - prima li
scrivo sulla matrice. Poi li correggo e li stampo. La prossima volta mi guardi,
così impari”. “Ma li so fare. Li facevo già a Milano”- dico orgoglioso. “Dove?”
- mi guarda sospettosa Giorgia. In tutta risposta la spingo verso l’uscita. Via
de’ Giubbonari nella prima sera, vetrine già accese. Giorgia fa gli onori di
casa anche qui sulla strada. “Quella è la più piccola chiesa di Roma”- In fondo
alla piazzetta a trapezio c’è la minuscola facciatina. -“Santa Barbara”.
“Speriamo che non scoppi” - dico giocando sul nome. Giorgia non capisce.
“Magari… ma qui comandano loro, anche se qui - siamo arrivati a Campo de’ Fiori
- nun ce sta neanche una chiesa, è l’unica piazza, credo, qui a Roma.” - Guarda
verso l’alto: “Però vedi che fine gli fanno fa’, a chi nun la pensa come
loro?”- Leggo il nome di Giordano Bruno sul basamento della statua, nera di
bronzo e di crepuscolo. Ci troviamo tutt’e due, imbambolati con la stessa
espressione corrucciata di Bruno. “Ce lo facciamo un cinemino?”- rompo gli
indugi, adocchiando il Farnese. “Sì, ma quanto costa?” - esita Giorgia - “Che
ti frega, pago io” - faccio il magnifico, romaneggiando a mio agio. “Sì, ma
guardiamo il film” - dice lei sorniona. “Se il film merita, lo guardiamo…” Me
la bacio di gusto, le cingo le spalle con il braccio e la spingo verso la porta
a vetri, dentro la hall.
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