sabato 7 gennaio 2012

da Milena Marani

Era il 9 giugno 1984, mi ero appena alzata nella mia nuova bella casa. Avevo acceso Radio Popolare, come sempre, come era d’abitudine nella mia nuova bella casa. Trent’anni avevo, come mio marito, che mi stava versando il caffè. Trasmetteva il direttore di allora, un certo Gad Lerner, che dava la notizia che Enrico Berlinguer mentre teneva un comizio a Padova la sera precedente, aveva avuto un malore ed era ricoverato in fin di vita all’ospedale. Non riuscì a continuare Lerner, interruppe la trasmissione, stava piangendo. Rimasi con il caffè in mano, istupidita, stavo piangendo, non potevo accettare quella notizia. Mi ricordo il fazzolettone di cotone, quelli grandi che adesso non si usano più, che mi passò mio marito. Piansi come una bambina, con lacrime che scorrevano e singhiozzi che non mi facevano respirare.
Compresi subito che era finita.
Non c’erano allora telegiornali in edizione straordinaria o,almeno, non ricordo che ce ne siano stati.
Attendemmo fino al pomeriggio per vedere quelle immagini. Me le ricordo: Berlinguer che parla in una piazza colma di gente, si appoggia al microfono, sta visibilmente male, beve un bicchiere d’acqua, ma non ce la fa proprio, lo sostengono, lo allontanano dal palco. E’ l’ultima immagine che ho di lui vivo.
Poi il Presidente Pertini che parte per Padova, lo ritraggono nella sala d’attesa dell’ospedale, con la moglie e i figli di Enrico, sono in attesa.
Due giorni dopo la notizia che tutti temevano e che nessuno voleva sentire: Berlinguer era morto, senza più riprendere conoscenza, era morto mentre faceva il suo lavoro, mentre parlava alla gente, alla sua gente, a me, a mio marito, ai nostri compagni della sezione. Era morto come era sempre vissuto, come un uomo vero, come un comunista vero, intelligente e caparbio come la sua Sardegna, come un uomo onesto, pulito. Mi ricordo le parole di Pertini, che lo riportò a Roma sull’aereo presidenziale: “Porto a casa un figlio”.
Non sono riuscita ad andare ai funerali, non ce l’ho fatta a vedere la televisione, non ho mai più riguardato quelle immagini, anche se ho comprato la cassetta al festival dell’Unità. Ce l’ho ancora quella cassetta VHS, che scema, non ho neppure più il videoregistratore. Eppure quella cassetta e i numeri speciali dell’Unità li ho ancora tutti, mi hanno seguita nei miei traslochi della vita.
Quattro giorni dopo, il 15 giugno vincemmo le elezioni, il PCI era il primo partito d’Italia, ma noi, i compagni della sezione non eravamo felici, anche se quella fu la vittoria più bella, dedicata a Enrico, a tutti noi.
Sono passati quasi trent’anni, ho quasi l’età di Berlinguer quando è morto. Ho due figli e a loro racconto, ogni tanto, di quel lontano giorno di giugno, e forse gli occhi luccicano e piange il cuore.

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