martedì 27 dicembre 2011

da Enzo Pelella

Ho iniziato a frequentare il Pci nel 1948 (a 12 anni) insieme a mio padre Alfredo, operaio tornitore specializzato.
Il Pci ha avuto un ruolo importante, nella storia d’Italia e del movimento operaio internazionale. Era un’organizzazione grande e complessa e, come tale aveva luci e ombre. A me interessa sottolineare, qui, un solo aspetto: la funzione educativa che ha esercitato tramite i suoi aderenti. Anche correndo il rischio di essere agiografico.
L’informazione: Mio padre è stato il primo degli “insegnanti” di questa scuola. Sin dall’età di dodici anni, mi chiedeva spesso di leggergli un articolo dal quotidiano (l’unità) che portava a casa; con la scusa “che era stanco”. Purtroppo scomparve nel ’51, ma nel frattempo mi ero abituato a leggere il giornale.
Pensare: Nel ’52, grazie a un accordo sindacale, fui assunto all’ex Silurificio, fabbrica dove la maggioranza degli operai erano comunisti. Lì iniziò quella che ritengo la mia università.
Per un periodo feci l’apprendista nel reparto attrezzi. Qui mi capitò di avere una discussione con un operaio sul modo di eseguire un lavoro. La discussione ebbe fine quando quest’operaio disse che aveva ragione lui perché aveva più esperienza. Non ero convinto e andai chiedere consiglio a un altro operaio. Questo mi rispose che “l’esperienza non ce l’ha chi è campato assai, ma chi ha pensato assai sui fatti della vita”.
Libertà: “ricordati che l’operaio deve guadagnare sempre una lira in meno di quanto vale, perché quella lira è la sua libertà” mi rispose un operaio con il quale mi lamentavo del prezzo di un cottimo.
Solidarietà: Dal primo giorno di lavoro nell’ex Silurificio fui destinato alla prima stazione di una catena di montaggio. Fui subito “adottato” dai miei compagni di lavoro più anziani, anche perché molti di loro era stati allievi di mio padre.
Il primo giorno lavorai 6 ore, il secondo 12, il terzo 24. Durante la notte, naturalmente, avevo sonno. Per combattere la sonnolenza approfittai del fatto che il tempo di esecuzione assegnato alla mia mansione era maggiore di quello reale e di essere il primo della catena, così mi avvantaggiai un poco di lavoro e andai a farmi un giro fuori dal capannone. Al mio ritorno, dopo un po’, un amico di mio padre, che lavorava in un altro reparto, mi raggiunse e mi redarguì: “ Hai un dovere di solidarietà verso i compagni di lavoro e se hai tempo lo devi impiegare ad aiutare loro, no per passeggiare.”
Rigore: In fabbrica funzionava una mutua aziendale, amministrata da un consiglio di amministrazione composto da rappresentanti dell’azienda e dei lavoratori. Il Presidente era un rappresentante della direzione mentre l’amministratore delegato era un lavoratore.
La mutua, tra le altre cose, gestiva un armadio farmaceutico con prodotti acquistati direttamente.
Venne alla luce che un rappresentante aveva convinto (dopo molte insistenze) l’amministratore delegato ad accettare una percentuale sugli acquisti (a lui riservati) che altrimenti tornava alla casa farmaceutica.
Saputa la cosa ci fu subbuglio in fabbrica e unanime condanna della cellula comunista e della relativa rappresentanza nella CGIL. Indignazione degli operai perché :”doveva prendersi il denaro e versarlo alla cassa della mutua.””
L’indignazione fu tanta che la Commissione interna fu costretta a imporre alla riluttante direzione aziendale il licenziamento del reo; ottenuta sotto forma di dimissioni.


Dignità: Avevo meno di vent’anni e svegliarsi alle sei 6 giorni su 7 era dura. Per cui, qualche volta, per guadagnare tempo evitavo di sbarbarmi.
Un giorno, il segretario della cellula mi ammonì: “se hai bisogno di dormire vai a letto prima. A lavorare si viene in ordine. Noi siamo operai! Non sottoproletari. Abbiamo una dignità”

Ascoltare: In quanto membro della Segreteria Provinciale della FGCI ero impegnato, ogni sera, a
“visitare” la sede di un circolo. Durante queste “visite” mi convinsi, ancora di più, che invece di
parlare (per dare la linea) era più conveniente per tutti ascoltare.

Responsabilità: La FGCI convocò una manifestazione politica della gioventù operaia della provincia di Napoli. Io fui incaricato di curare la partecipazione dei giovani dei comuni della zona flegrea, dove risiedeva lo stabilimento in cui lavoravo.
L’incarico affidatomi si rilevò più gravoso del previsto; soprattutto per problemi logistici. Era praticamente difficilissimo far coincidere l’attività di mobilitazione giovanile e la possibilità pratica di tornare a casa.
La manifestazione non ebbe un gran successo.
Nella successiva riunione del Comitato federale della FGCI, la segretaria di organizzazione criticò lo scarso impegno dei compagni del Comitato federale, portando ad esempio la scarsa partecipazione dei giovani della zona che mi era stata affidata. Come si usava allora la critica fu fatta citando la mia responsabilità e facendo nome e cognome.
Ritenevo e, ancora oggi ritengo, la mia responsabilità relativa. Comunque c’era. Secondo la prassi dovevo “fare l’autocritica” e io la feci. Pur convinto che la mia responsabilità fosse minima, ma altrettanto convinto che se c’era fosse onesto riconoscerlo pubblicamente. Non bisognava scappare dalle proprie responsabilità senza mediazioni o minimizzare.
Il giorno successivo la segretaria di organizzazione, in un colloquio ufficiale a due, mi fece notare che ero incostante nella gestione quotidiana. Lo riconobbi e lei mi propose, a nome della segreteria, di occuparmi della creazione e gestione del circolo FGCI del quartiere Vomero. Accettai e iniziò così una grande esperienza, ma questa è un’altra storia.

Queste sono alcune cose che ho imparato nel PCI ma, soprattutto ho imparato a imparare, ho imparato la severità, ho imparato che migliorare se stessi significa contribuire a migliorare il mondo che ci è toccato in sorte.

martedì 20 dicembre 2011

da Raffaele Raiola

Il 23 novembre del 1980 a via Stadera il terremoto faceva crollare un unico edificio (ex INA CASA) di dieci piani.
Purtroppo per questo evento via Stadera sarà ricordato come il Quartiere che ha contato il più alto numero di morti a Napoli (53 vittime del terremoto). Il terremoto ha spezzato la vita ed i sogni di oltre 20 famiglie che avevano condiviso, alla fine degli anni ’70, insieme a tutto il quadro dirigente della Sezione PCI Stadera un entusiasmante percorso politico di democrazia partecipativa, perchè fossimo noi tutti insieme protagonisti delle scelte da effettuare per il risanamento e la riqualificazione del nostro Quartiere.
All’epoca ricoprivo la carica di Presidente della Circoscrizione di “Poggioreale”, eletto da una maggioranza di sinistra PCI-PSI-PSDI.
La popolazione tutta, alla prima scossa di terremoto, presa dallo spavento, si riversò per le strade e raggiunse le campagne vicine e i luoghi all’aperto privi di costruzioni, abbandonando frettolosamente le proprie case incustodite e lasciando luci accese e porte aperte.
Le forze dell’Ordine, l’AGESCI, i compagni di sezione, i cittadini volontari organizzarono le ronde per impedire ogni forma di sciacallaggio, mentre i Vigili del Fuoco coordinavano le operazioni di recupero delle salme dalle macerie. Per liberare le strade dalle auto in sosta requisimmo di fatto, senza alcun provvedimento amministrativo, tutti i campi sportivi della zona dove sistemammo le famiglie all’interno delle proprie autovetture. Le famiglie prive di autovettura le sistemammo nei pullman del trasporto pubblico urbano stazionati all’interno del deposito dell’ATAN di via delle Puglie, messo a disposizione dall’azienda municiplizzata. Gli autisti dell’ATAN accompagnati da singoli Consiglieri di Quartiere, giravano per le strade e raccoglievano le persone, disposte a trovare un ricovero dal freddo, sebbene molto precario. All’epoca non esisteva la Protezione Civile, ma in questo modo riuscimmo a garantire i primi soccorsi in attesa degli interventi delle Istituzioni locali e governative.

lunedì 19 dicembre 2011

da Chicco Testa

Ad un certo punto tocca eleggere un nuovo Presidente dell’ Arci, siamo nel 1983, dopo la bella Presidenza di Enrico Menduni. Il posto tocca, come da tradizione, ad un iscritto al PCI e io sono il giovane (?) e promettente segretario della neonata Lega per l’ Ambiente. Si fanno le consultazioni di pragmatica fra i segretari regionali e provinciali e quasi all’unanimità vengo indicato come il successore naturale. Ne vado fiero. Senonchè ... senonchè con Realacci e altri giovanotti legambientini avevamo cominciato a frequentare alcuni dissidenti polacchi ( c’era ancora il muro, solido e grosso) che ci avevano spiegato che la nostra battaglia pacifista non era giustificata, se non si fosse accompagnata a quella per la libertà. La loro, che stavano sotto la dittura sovietica e a cui noi apparivamo, oggettivamente, amici dei russi. “Se non ci fosse l’ America, dicevano loro, noi saremmo ancora più schiavi e voi la battaglia la fate solo contro gli USA. Siete quindi, sempre oggettivamente, amici dei nostri dittatori russi”. Quanto avessero ragione lo avremmo capito solo molti anni dopo, ma qualche dubbio comunque riuscirono a mettercelo in testa già allora. I sovietici, diciamo, proprio simpatici non ci stavano. Anzi. Cosicchè   decidemmo di partecipare ad una manifestazione milanese , insieme a vari gruppi cattolici, indetta sotto lo slogan “pace e libertà”.Che nel linguaggio politico di allora significava “ no  ai missili americani, ma anche no a quelli russi e alla dittatura sovietica”. Per la verità io in qui giorni stavo a Parigi, dove avevo conosciuto la mia futura moglie, ma detti comunque il necessario benestare. Torno da Parigi e Aldo Tortorella offre a Enrico Menduni un caffè da Rosati, a Piazza del Popolo, a Roma. Nel corso del quale gli comunica che Pajetta si è preso un’incazzatura super per quella manifestazione e che sarebbe quindi bene che io rinunciassi alla Presidenza dell’ ARCI.Menduni a sua volta mi offre un caffè e mi riferisce. Che dovevo fare? Smisi di bere caffè, presi atto e obbedii. E fino qui è solo una storia di errori politici ( non i miei , che avevo ragione) e di disciplina di partito. Ma il calice andava bevuto fino in fondo, con tutti i riti del caso. E così fui costretto a pronunciare un discorso di fronte ai compagni comunisti dirigenti dell’ ARCI, convocati nel mitico salone del Comitato Centrale a Botteghe Oscure, dove “spintaneamente” spiegai i miei errori le ragioni profonde e naturalemnte completamente fasulle per cui preferivo non ricoprire quell’incarico e continuare il lavoro in Lega Ambiente. In sala tutti ridevano, ma fecero finta di niente. All’ Arci non mancava il senso dell’umorismo.  Mi presi la rivincita un po’ di anni dopo, quando, Deputato del PCI, partii per Varsavia, pieno di dollari nascosti in pacchetti di pasta Barilla, e consegnai la merce agli amici dissidenti polacchi, che stavano per riconquistare la libertà. Di chi fossero quei soldi non lo ho mai saputo. Ma ho dei sospetti.

martedì 13 dicembre 2011

di Roberto Bongini

mi sono iscritto alla fgci nel 1976 all'età di 14 anni a rosignano solvay (comune di rosignano marittimo in provincia di livorno) con una tradizione familiare che và dallo zio sindaco, successivamente consigliere regionale e primo presidente della allora usl di zona, cugino assessore e padre nell'esecutivo del consiglio di fabbrica della solvay ( multinazionale belga, industria chimica),successivamente, tutta la trafila all'interno del partito da segretario di sezione, direzione provinciale,ecc..).
negli anni 80, si comincia a parlare a rosignano di un possibile impianto di pvc che la società solvay vorrebbe fare nella fabbrica di rosignano, tenendo conto che il territorio, per le produzioni ad alto rischio che già faceva la suddetta società, era già saturo di rischi ambientali (teniamo conto che c'erano già 2 bomboloni di etilene e che riguardo al pvc finchè non ci furono gli studi del dottor viola se ne sapeva poco). a quei tempi io stavo finendo il mio incarico in fgci (all'epoca ero responsabile provinciale della lega per il lavoro) per fare il segretario della maggiore sezione del pci del mio comune. personalmente e come fgci avevamo preso una posizione di contrarietà all'impianto, mentre il partito aveva una posizione favorevole. il partito aprì una consultazione tra l'iscritti (pensando che il partito fosse rappresentazione reale della società) che dette un consenso all'investimento e io ero nella situazione di dovere garantire la posizione del partito stesso, in quanto segretario della sezione, ma con un punto di vista diverso. si può immaginare che la discussione era accesa. la fgci, insieme ai movimenti e alle associazioni del territorio si schierò con la richiesta di un referendum consultivo sull'investimento con il voto ai sedicenni. io mi trovai nella strana posizione di segretario del partito (di giorno) e (di notte) a lavorare con i compagni della fgci. alla fine il referendum vide la vittoria dei contrari all'investimento con mia grande soddisfazione. ciò segnò anche la fine di un rapporto di fiducia dei cittadini con l'azienda. questo per dire solo alcune cose: già in quegli anni il partito non era più espressione della società in senso ampio (non aveva già più il ruolo pedagogico inteso in senso gramsciano) e inoltre perse l'occasione per cambiare la sua visione politica e fare crescere un nuovo gruppo dirigente (in pratica come ha fatto il pd sui referendum su acqua e nucleare). la difficoltà ai cambiamenti non è solo di oggi, ma è un difetto antico della sinistra.

di Fabiano Corsini

Fu Sirio il Taccini a consegnarmi la prima tessera del PCI, nel marzo 1970. Sirio aveva già una settantina di anni. Era il presidente dei probiviri, il compagno più prestigioso della sezione.
Mi avevano fatto aspettare un po'. La procedura prevedeva di essere presentati, che qualcuno garantisse. Poi gli organi dirigenti vagliavano la richiesta, e c'era da aspettare. Al Fortino, la casa del popolo dove aveva sede la Sezione Comunista di Marina, era rimasto un po' così; anche in quegli anni tumultuosi in cui la politica profondamente cambiava, pareva già cambiata. Ma non non mi dispiacque che su di me ci fosse un vero e proprio esame; che in qualche modo fosse valutata la mia vicenda politica. Per tre anni ero stato nel movimento studentesco, avevo simpatizzato per il Potere Operaio e per Lotta Continua. Ero stato era stato io, tutti lo dicevano, il colpevole vero dell'arresto di mio fratello. Quattro mesi di prigione per una manifestazione, sui binari della stazione di Pisa, dopo l'arresto di Guelfi e Marraccini. Sirio Taccini venne a casa mia, e prima di parlare indugiò a guardare i libri, le cataste della Monthly review e dei Quaderni Piacentini, accanto a Critica Marxista e Rinascita. Sirio, prima di consegnarmi la tessera, come aveva deciso il Direttivo, mi raccontò di tutti i fatti miei di quegli anni passati, e di come fossero stati tutti analizzati. “Abitavi con Renato Curcio” mi disse guardandomi dietro una nuvola di fumo che lo intossicava. “Si, erano tutti nell'appartamento dove vivevo io.” “Lo sappiamo” Era chiaro di che cosa mi si era imputato, ma anche che ero stato assolto. “Ne abbiamo anche noi di compagni così...nel portafogli ho la tessera di uno. La tengo io. Ha fatto brillare una stecca di plastico a Camp Darby..quel bischero”.
E poi raccontò di sé, di quando era dirigente provinciale , e di come non lo era stato più. Di quando avevano deciso di sciogliere la sezione centro, troppo di sinistra, e di come poi lui, operaista, fosse stato a sua volta messo fuori. E di come fosse ritornato a spazzare i piazzali dell'Acit. Michele vedeva il vecchio compagno, con il sigarino tra le dita, sempre acceso, che raccontava cose che erano accadute proprio a lui; ma che raccontava non per fatto personale o per civetteria. Gli stava insegnando, il Taccini, di come si doveva stare in quel partito , di come ci stavano quelli che lo avevano fatto diventare forte.
A quell'epoca in Cantiere ci lavoravano mille e cinquecento persone. La Sezione, che dai licenziamenti del 1957 era sparita, cominciò a rinascere. Ne diventai segretario l'anno successivo, a ventidue anni.

domenica 11 dicembre 2011

da Verio Massari

Il primo incontro. Avevo 15 anni, nel '66, ero un bravo boy scout, e nel Liceo Scientifico Scacchi di Bari tirava una brutta aria per chi pensasse fosse giusto protestare per i bombardamenti su Hanoi, magari anche soltanto tentare una manifestazione con le altre scuole. Come succedeva al Flacco, il liceo classico, dove c'erano invece i "giovani comunisti", che qualche volta ci riuscivano pure. Però al Flacco non c'erano i neri ben più maneschi della mia scuola.
Ogni giovedi si riuniva alla sala del Combattente, in via Melo, pieno centro murattiano, un gruppo di questi "strani" studenti del PCI, tutti però del "classico". Era il Circolo Gramsci, manco sapevo chi fosse allora quel capellone "strano"... Ci andavo quasi regolarmente e scoprii così anche universitari e liceali che facevano sfoggio di buone letture, di film surrealisti visti in astrusi cineforum e i "conti rateali" degli Editori Riuniti. A volte, in quella sala, incappavo in zuffe a sediate selvagge con quelli del FUAN, che non gradivano la presa del " giù le mani dal Vietnam" sugli altri studenti , e poi soffrivano troppo la presenza delle "nostre" belle ragazze (tra tutte spiccava la lunga chioma di una nipote di King George..) e, quindi, rompevano, in tutti i sensi. Chiesi ben presto al leader del Flacco, Francesco Laudadio, di portarmi in questa mitica "Federazione" PCI, all'epoca in Via Trevisani, per capirne di più del "partito", di cui parlava come fosse Zaratustra. Francesco ne era ossessionato, per lui il futuro era il Partito (la sua direzione) o il fare cinema (e che infatti scelse dopo 10 anni esatti, andando a lavorare con Monicelli); a cinema ci andavamo insieme ossessivamente, litigando su tutto. Beh, non ci crederanno i più giovani ex-PCI (Nichi compreso), ma in quegli anni gli studenti erano le mosche bianche, in Federazione. C'erano, iscritti a decine per ciascun paese, tanti giovani apprendisti e operai nella FGCI della Puglia di prima del '68. Con Francesco, Aldo e altri 4 gatti noi studenti eravamo "marziani", andavamo nelle sezioni e nelle camere del lavoro della Provincia (oltre che a cinema), per parlare di cose e vicende della politica che cambiava a fine dei '60 con compagni "davvero" operai: pochi anni dopo i "gruppi" si sarebbero scannati per averne una minima frazione...Il PCI degli anni '60, in Puglia, era ancora bracciantile-operaio-plebeista e forse giustamente sospettoso dei suoi stessi "professori" (Reichlin, allora segretario regionale, Papapietro, Santostasi, De Felice, Vacca...), per non dire degli studenti. Gli intellettuali li si mostrava con orgoglio in qualche teatro, ma non li si capiva; ma soprattutto non dirigevano, non potevano dirigere, quel PCI, che subiva - allo stesso tempo - il fascino del potere amministrativo della DC nelle sale consiliari, tutti quei "signori" di cui non si poteva che ammirare, temere e imitare i comportamenti, che erano un bel pò più concreti delle chiacchiere dei "nostri professori" e roba diversa dallo sciopero a rovescio nelle campagne. Quando, qualche anno più tardi, citai Don Milani su un ciclostile alle scuole (con la famosa frase sulle professoresse e le puttane), quasi quasi mi cacciavano dalla FGCI. E infatti nel '68 ce ne andammo, dopo le Frattocchie a febbraio. Ma presto, dopo aver pazziato fino al '73 tra vari gruppi più o meno "rossi" e ortodossi, facemmo un umile e contrito ritorno alla casa madre. Avevamo già da ragazzini le stimmate del PCI, non potevamo, specie a Sud, andare da qualche altra parte. Il compagno Sicolo ci fece una ramanzina indimenticabile, chi se la scorda.. Nel frattempo il PCI diventava il Partito di Berlinguer, e noi diventavamo adulti (?). Ma in quella Federazione e in quelle Camere del Lavoro della Terra di Bari ho capito che i partiti e i movimenti popolari si nutrono di idee e di sangue vivo, sennò gli intellettuali e il pensiero non bastano mai. Il PCI era un impasto ineliminabile di valori veri, miti ed esperienze di vita dura, sofferenze, lotte, fatiche solidali e tanta gioia di vincere insieme...la politica era in cielo solo sui manifesti ai muri, ma in realtà un popolo in movimento continuo, con bandiere "proprie" che nessuno si sognava di imbalsamare in feticci del "socialismo reale". Ciao Francesco, te ne sei andato così presto, a 55 anni, e io qui ancora ti ringrazio di avermi portato quella prima volta in via Trevisani.

giovedì 8 dicembre 2011

da Domenico Talia

La politica degli anni settanta era fatta di scontri duri, di tante manifestazioni. Noi del PCI ovviamente eravamo a sinistra ma erano tanti quelli che facevano di tutto
per considerarci la stampella della DC, ad ogni occasione e in ogni corteo di studenti, la sinistra extra-parlamentare quasi si divertiva a farci apparire come conservatori.
Avevo 18 anni, ero già iscritto al partito e avevo un ruolo di dirigente della FGCI della mia zona in Calabria. La mattina del 16 marzo 1978 ero a scuola (ultimo anno di
Liceo) come tutte le mattine quando non c'era uno sciopero. In quell'anno tra scioperi e manifestazioni non si andava spessissimo a scuola. Saranno state le 10 e mezza
o le 11, il bidello bussò alla porta della 5a C, la professoressa lo fece entrare e lui chiese di me. Mi aspettava il preside. Scesi giù e, insieme al Preside, trovai un
compagno del Direttivo di zona. Non mi aspettavo che un compagno del PCI venisse a trovarmi o a prendere a scuola. Capii subito che qualcosa di grave doveva essere
successo. Lo salutai e lui mi disse senza attendere: "Stamattina hanno rapito Moro. Dobbiamo organizzare una manifestazione, bisogna reagire a questo atto orribile.
Dovresti venire subito in sezione." Rimasi di sasso, non potevo immaginare una cosa simile. I tempi erano difficili, ma non credevo fino a quel punto. Naturalmente il
Preside mi disse che potevo andare. Tornai per un attimo in classe a riprendermi i libri e il giaccone. Lo dissi ai miei compagni. Quelli mi guardarono come un marziano.
Qualcuno continuò a fare quello che stava facendo senza scomporsi più di tanto. Scesi di corsa e uscimmo insieme dal Liceo. La giornata passò tra telefonate, manifesti
e la manifestazione unitaria del pomeriggio. Era il tempo di quelli "né con lo Stato, né con le Br". Da quel giorno molte cose non furono più come prima. Ricordo anche
che il Congresso Nazionale della FGCI a Firenze quell'anno fu ritardato di qualche giorno a causa della vicenda Moro. La vicenda fu lunga e finì tristemente nel maggio
di quell'anno.
Qualche anno fa ho rivisto alcuni vecchi compagni di scuola, dopo più di trent'anni. Più di uno di loro per prima cosa mi ha ricordato quel mio annuncio in classe, la
mia faccia preoccupata e loro che non avevano capito la gravità di quel fatto.

martedì 6 dicembre 2011

da Luigi Ceccarelli

‎1° ottobre 1968: primo anno di liceo, una data significativa, direi. partecipo, più per curiosità che altro, alle lotte studentesche: occupazione, gruppi di studio, manifestazioni. dai primi anni '70 fino al 1979 milito nella sinistra extra-parlamentare, solito percorso: manifesto, pdup, democrazia proletaria. nel 1979 sono candidato per il mio comune per dp...poi succede che l'arci mi chiama a fare qualche lavoretto, poi una partecipazione più intensa, poi seguo le attività dei centri estivi per diversi comuni del comprensorio cesenate (capoluogo compreso) anche per via della mia laurea in pedagogia, poi divento segretario dell'arci e via dicendo. ed è in questa occasione che scopro un volto del pci e dei comunisti che mai avevo conosciuto. entro nelle sezioni per fare assemblee dell'arci e scopro un elevato numero di compagne e di compagni che si riuniscono, che discutono, che propongono e che pungolano i dirigenti e alla fine, miracolo! le decisioni sono di tutti: lo stupendo e democraticissimo centralismo democratico!! a farla breve, nel 1982 mi sono iscritto al pci e dopo un paio d'anni il segretario della federazione candidato sindaco mi chiama e mi dice: mi piace il tuo modo di scrivere e di esprimerti, ti seguo nel tuo lavoro all'arci, mi piacerebbe che venissi in federazione a farmi la campagna elettorale. e per tre anni sono stato funzionario del pci cesenate, un'esperienza entusiasmante, che mi ha fatto crescere come uomo e come cittadino. ora, purtroppo, c'è rimasto ben poco, il pd mi ha deluso e ho fatto presto a defilarmi. di certo non mi vergogno e non mi vergognerò mai di questa esperienza e di questa militanza.

domenica 4 dicembre 2011

da Alessandro Picone

Guardo con tenerezza una vecchia medaglia, religiosamente conservata. E' l'unica medaglia della mia vita. Quando mi dicevano: ma che cosa ti affanni?.. Ma chi te la dà una medaglia!...Bene, la medaglia l'ho avuta! E' per "I Diffusori dell'Unità". C'è scritto "Il Diffusore dell'Unità è un Organizzatore Politico di Massa"(Togliatti). Beh, con tutto il rispetto per il Migliore credo sia una stronzata!
La diffusione e l'attacchinaggio dei manifesti (attività cui ho dedicato molto tempo della mia militanza PCI), si sono rivelati uno strumento formidabile, ma non tanto per chi comprava il giornale o leggeva i manifesti, quanto per me, che in questo modo testimoniavo la mia partecipazione e la mia fede in un mondo di uomini, senza caporali.
me lo ha fatto ben capire un vecchio compagno, Vittorio De Franciscis ("o' miereco santo"), quando, dietro i fondi di bottiglia dei suoi occhiali, mi diceva: "Non è tanto importante che tu abbia idee belle e nuove; è importante che tu trovi il coraggio di comunicarle e di sostenerne le ragioni, altrimenti non sarai mai un Rivoluzionario, ma, al massimo, un Santo!

da Salvatore Ivone

Attendevo oramai da diversi anni quel momento e quel giorno arrivò.
Adesso non ricordo la data con precisione, ma sarà stata certamente tra dicembre del 1983 e gennaio del 1984. In quell’occasione, era stata convocata la festa del tesseramento per l’iscrizione al partito per il 1984, anno in cui, sia pure a settembre, avrei compiuto i 18 anni, e finalmente potevo prendere la tessera del Partito Comunista Italiano.
La sezione che frequentavo era la “I° Maggio – Materdei” che si trovava in via Salute 108, a Napoli. In quella sede del PCI, nel salone delle riunioni, sul muro c’era un quadro di Emilio Notte. Un enorme dipinto che ritraeva un corteo della Festa dei Lavoratori, tra quelle figure ritratte c’erano molti volti di militanti di quella sezione, ed in quel salone fu fatta la festa del tesseramento. Fu Enzo Pelella, il segretario di quel momento, a darmi la mia prima tessera. Versai la quota di iscrizione al compagno Carmine Rubino, il tesoriere. Quello è stato il giorno più importate per il mio impegno politico, finalmente mi sentivo a pieno titolo un Comunista Italiano.
Fui subito, ma di fatto già lo ero, cooptato nel Comitato Direttivo della sezione e in quell’occasione ebbi anche un incarico di responsabilità. Avrei dovuto occuparmi della “stampa e propaganda”. Mi interessavo per la diffusione dell’Unità, volantinaggi o affissione di manifesti per il quartiere, la zona di nostra competenza. In questo compito ero per lo più accompagnato dal compagno Ciro Colonna, che era provvisto di una Vespa e con la quale potevamo fare incursioni improvvise, affiggere i manifesti in luoghi in cui, per la presenza di fascisti e di altri avversari politici, arrivarci senza quel mezzo, sarebbe stato molto pericoloso.
Uno dei motivi per cui i compagni della “I° Maggio” mi diedero quel compito era che già da diverso tempo collaboravo nella Federazione Napoletana del Partito, proprio nel settore della Stampa e Propaganda. Lì eravamo un gruppo di giovani, “garibaldini”, come spesso amava chiamarci “il Maresciallo” Antonio Cozzolino. Io e altri ci occupavamo della distribuzione del materiale di propaganda alle varie sezione della città e della provincia. In alcune occasioni provvedevamo a coprire di manifesti del Partito, zone della città in cui il Partito aveva difficoltà a farlo.
Uno dei nostri compiti era dare una mano alla organizzazione e alla costruzione delle feste dell’Unità. Proprio quell’anno si svolse la festa Meridionale del nostro giornale. Avvenne lungo il Viale giochi del Mediterraneo, nel quartiere Fuorigrotta, a pochi passi dal Palazzetto dello Sport. Ricordo quel periodo come un tempo particolarmente faticoso. Tornavo a casa raramente, impegnato com’era tra distribuzione di materiale elettorale alle sezioni territoriali, turni, anche notturni, al centralino della Federazione.
La Festa fu chiusa da Enrico Berlinguer, il quale, come sempre faceva, prima del comizio girò per un saluto ai compagni, che quella Festa l’avevano fatta nascere e vivere, lavorandoci gratuitamente, per tanti giorni. Io, il compagno Berlinguer me lo ritrovai all’improvviso, di fronte nel magazzino approvvigionamento. Ricordo ancora la sua stretta di mano, la mia emozione.
Solo pochi giorni dopo, a Padova, durante il comizio di chiusura di quella campagna elettorale, Enrico Berlinguer ebbe un malore, e dopo quattro giorni morì. Era l’undici di giugno.
I suoi funerali si tennero a Roma il giorno13. Da Napoli ci fu una partecipazione enorme di compagni. Nessuno voleva rinunciare all’ultimo saluto al nostro Segretario. Quella mattina toccava proprio a me restare a vigilare la sede della nostra Federazione di via dei fiorentini. Ero addolorato e inquieto come mai. Non riuscivo ad accettare di essere uno dei pochissimi a non essere insieme agli altri compagni. Non facevo altro che pensare d’inventarmi un modo, una possibilità di partire per Roma. Condividevo questa mia disperazione con l’altro al quale era stato chiesto di restare a vigilare, si trattava di Antonio Pastore, il Segretario amministrativo della Federazione. Chiesi proprio a lui di lasciarmi partire. Antonio capì, ma era anche preoccupato per la sede. Ci accordammo che sarei partito solo a condizione che lui si fosse blindato all’interno. E così avvenne. Partii per Roma. Di quelle ore ricordo solo che mi ritrovai in Piazza San Giovanni tra una folla indescrivibile di militanti Comunisti e gente comune, tra tante bandiere rosse e tricolori listate a lutto. Tutti piangevano quell’uomo che era il Capo e la bandiera del Partito Comunista Italiano. L’ultimo suo miracolo fu di quel giorno: diventando la bandiera di tutta l’Italia.
Alcuni anni dopo noi, i “garibaldini” della Federazione, ci ritrovammo a Roma per rendere omaggio, alla tomba di Enrico Berlinguer, con una nostra corona di fiori. Ma in quel tempo era già iniziata un’altra storia.
Ho menzionato solo alcuni compagni, con i quali ho condiviso, il mio cammino. Quello di un giovane, che cresce umanamente e culturalmente, nel mondo del Partito Comunista Italiano. Citare tutti i miei compagni sarebbe impossibile, dovrei scrivere un lungo, interminabile elenco. Ne cito solo alcuni. Per la mia sezione, “PCI Primo Maggio – Materdei”: Matteo Tirelli, Pasquale Maruzzella, e il Prof. Emanuele Salottolo. Di quelli con i quali ho condiviso l’impegno, affetto e amicizia a via dei Fiorentini: Ivan Di Roberto, Carmine Tulino e Paolo Persico.

venerdì 2 dicembre 2011

da Toni Gangarossa

Erano le cinque di mattina, una folta coltre di nebbia ricopriva tutte le case e la piana appariva come un grande mare calmo e bianco. Quella giornata appariva speciale già dalle prime ore e la mia città in quel momento sembrava avere dimenticato gli spari, il sangue e la paura della guerra di Mafia che imperversava per le sue strade, stravolgendola e segnandola per sempre, come una brutta ferita mai perfettamente cicatrizzata.
Il pullman abbordava le curve strette della collina di Caposoprano diretto a Roma, dove un gruppo di studenti delle scuole superiori di Gela avrebbero incontrato il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Poco importava se in quel periodo imperversava la bufera di Gladio, noi giovani comunisti, partigiani della lotta alla Mafia in una città in mano alla Mafia, sapevamo di scrivere una delle pagine memorabili della storia recente di quella cittadina, frontiera d’Europa. Eravamo in tanti iscritti alla FGCI, ma non eravamo tutti, dunque, avevamo un rispetto sacrale per coloro che non manifestavano particolare attaccamento alla militanza politica. Disponibilità, sacrificio, ma con discrezione, tatto, delicatezza, consapevoli che a Gela la Democrazia Cristiana la faceva da padrona e che se avessimo osato più di tanto personalizzare quella straordinaria idea, non avrebbero nemmeno pagato le spese per il viaggio, giù al Comune.
Quell’idea: scrivere al Capo dello Stato, per chiedere un centro d’aggregazione giovanile,che quando Giusi Polizzi lo disse pensava più allo spazio per amare, per amarsi, che al tempio della lotta alla Mafia. Per alcuni era anche questo la militanza, il luogo della passione, dell’innamorarsi,della provocazione, della libertà, quando questa voleva dire tornare a casa tardi “perché c’è riunione” e tuo padre “compagno” non ti diceva niente. Nessuno credeva che Cossiga ci avrebbe risposto, ma serviva dirlo in giro, perché arrivassero nuovi iscritti in FGCI. Poi, tutto cambiò e quando una sera fui chiamato nello studio di uno degli avvocati più autorevoli della città: l’Avvocato Moscato, che mi consegnò la lettera con cui chiedevano l’istituzione del Tribunale di Gela, capii che avevamo davvero fatto qualcosa di straordinario, talmente grande che noi stessi non riuscivamo a percepirne fino in fondo la grandezza.
Al Quirinale, quella mattina, Cossiga ci chiese se volevamo del succo di frutta, io e Giusi, quasi scoppiammo a ridere, un pò per il nervoso, un po’ perché difficilmente bevevamo succo di frutta; eppure, seduti sul divanetto a due posti in stile antico, con le mani tremanti, il coraggio fu più forte dell’emozione e parlammo per più di un ora delle nostre ragioni, della violenza subita, di un diritto negato: essere giovani liberi e consapevoli che non c’è libertà se non si sconfigge la Mafia.
Il Presidente fu toccato da quel coraggio, forse, dall’ingenuità di fondo con cui rappresentavamo i nostri bisogni, fatto sta, che prese l’impegno di venire a Gela, a trovare gli studenti che reclamavano un centro d’aggregazione giovanile. Così fu. Pochi mesi dopo, in una città incredula e bardata a festa, arrivò a Gela il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il quale, mi consegnò, nelle mie mani, il progetto del palasport polivalente, da utilizzare come centro d’aggregazione. Peccato che passarono oltre dieci anni per finirlo, peccato che alla sua inaugurazione nessuno ricordò l’impegno di quei giovani studenti, peccato che Gela è una città che non ha memoria e forse, proprio per questo, incapace di immaginare un futuro migliore. Di quella stagione rimane soltanto il nome “provvisorio” della struttura sportiva: il “PalaCossiga”.
In fondo, essere stati giovani comunisti, per noi, significava anche questo, fermarsi un passo indietro la spettacolarizzazione. Avere rispetto, fino in fondo, per il valore ideale di una battaglia che a Gela è valso il riscatto dall’etichetta di città della Mafia. Il ricordo di quei giorni in cui Santoro, Costanzo, Enzo Biagi, Nando dalla Chiesa e Giovanni Falcone guardarono a noi con ammirazione e rispetto, valgono molto di più della celebrità di un passaggio televisivo e del sogno di potere dire: diciottenni siamo stati dal Capo dello Stato.

giovedì 1 dicembre 2011

da Ivan Di Roberto

Sono stato iscritto al PCI.
Insieme a tanti altri compagni sono stato sempre nell’apparato tecnico della Federazione Napoletana. Abbiamo prestato la nostra opera, con abnegazione e sacrificio, con altruismo e disciplina, sempre a favore della sicurezza di uomini è beni del PCI.
Abbiamo fatto quelli che altri compagni non volevano mai fare, siamo andati dove tutti si rifiutavano di andare, abbiamo portato a termine quello che gli altri si sognavano di fare. Abbiamo sedato animi indemoniati e smascherato finti angeli.
Abbiamo ascoltato cose che nessuna intercettazione potrebbe emulare, visto fatti che nessuna telecamera riuscirebbe a riprendere.
Abbiamo affrontato indescrivibili rischi senza pretendere mai nulla in cambio, sempre nell’ombra, con umiltà e tenacia. Abbiamo dato tutto il nostro impegno, il nostro amore, la nostra professionalità, quasi sempre ricompensati con un semplice grazie, che ci gratificava più di ogni altra cosa.
Nei momenti drammatici vissuti non potevamo permetterci il lusso di rimanere scossi o versare lacrime, spesso riusciva ad indebolirci solo la stanchezza.
Grazie alla formazione del PCI, sia a livello nazionale che locale, spesso paragonata al ministero degli interni, siamo stati sempre in grado di tutelare uomini e donne ritenuti a rischio. Da Berlinguer all’ultimo segretario di sezione, da Pio La Torre a M. Valenzi, da A. Natta a Bassolino, da P.Ingrao a N.Jotti . E’ poi le feste dell’Unità, i convegni internazionali, le manifestazioni le strutture di partito. La nostra presenza tranquillizzava tutti, la vita di tanti esponenti veniva consegnata nelle nostre mani, mentre i dirigenti si concedevano completamente con estrema fiducia.
Grazie a tanti compagni di quel PCI, molti dei quali non ci sono più.

da Umberto Radin

La riunione era stata convocata d’urgenza con il solito passaparola, già, i cellulari mica esistevano….
Era una sera d’inverno del 1976 e io avevo 18 anni, il freddo era pungente come solo a Torino riesce ad essere, l’aria sapeva di officina e di nebbia. Camminavo veloce verso quel cavalcavia che unisce il quartiere operaio dove sono nato, Barriera di Milano, con un ‘altro quartiere operaio, Borgo Vittoria, lì esattamente in via Chiesa della Salute c’era la Federazione del PCI..
Arrivo in Federazione e la riunione è appena iniziata , il segretario Provinciale della FGCI, mi guarda con una smorfia di disappunto per il ritardo, la riunione è nervosa, veloce, gli interventi si succedono rapidi ; non è una riunione di quelle un po’ liturgiche con relazione fiume , interventi e conclusioni cadenzate ed un pò scontate, è una riunione vera, si deve decidere come organizzare uno sciopero d’ emergenza in risposta ad una aggressione fascista, avvenuta a Milano.
Noi figiciotti, avevamo non solo il problema di dare “politicamente” la risposta giusta, ma anche quello, ben più complicato, di non lasciare la gestione della piazza ai soli gruppi extra- parlamentari, Lotta Continua, in primis. Quindi, decise le modalità organizzative ed i contenuti politici dello sciopero, non ci rimaneva che ciclostilare i volantini e farli arrivare in tempo ai responsabili delle cellule delle Scuole di Torino.
Ci aspettava una lunga notte, in Federazione non si potevano ciclostilare i volantini per tutte le Scuole, così io e Davide Padroni, l’uno responsabile della Zona Nord, e l’altro della Zona Centro decidemmo di andare nella mia sede per produrre i volantini e far un po’ di telefonate, ben sapendo che ormai passata la mezzanotte, in alcune famiglie “Borghesi”, non inclini alla pratica e militanza comunista, avremmo creato dei problemi, fra genitori e giovani figiciotti.
La Zona Nord della Fcgi si trovava nel cuore del quartiere operaio, il silenzio della notte veniva interrotto solo dal rumore del nostro ciclostile, non proprio silenzioso, io e Davide ci guardavamo nervosi e trepidanti, non avevamo affatto la certezza che i compagni sarebbero venuti a ritirare i volantini, poi la porta incomincio a cigolare ed assonnato entrò il primo compagno, dopo di lui altri ed improvvisamente la sede incomincio a riempirsi di compagni che volevano sapere, discutere, organizzare la manifestazione che ci attendeva.
Alle 4 del mattino, potevamo dichiararci soddisfatti, mancavano all’appello solo quattro scuole, evidentemente dopo le nostre telefonate, in quelle famiglie aveva vinto la reazione, ed i figli rivoluzionari non erano riusciti a convincere i genitori della bontà dell’azione a cui erano stati chiamati nel cuore della notte.
Così presi i pacchi di volantini, ci incamminammo verso quelle Scuole che il destino voleva escludere dalla lotta e dallo sciopero.
Per decenza, non racconto gli argomenti di conversazione che accompagnarono la nostra gloriosa marcia per il centro di Torino, né tanto meno, dove e come nascondemmo i volantini che occorrevano poche ore dopo, per non essere spiazzati dal volantinaggio che i “gruppettari” avrebbero sicuramente svolto in solitudine se non ci fosse stato il nostro eroico sacrificio.
Il giorno dopo fu un successo, la Fgci fu protagonista di quella manifestazione e noi potemmo andare a dormire orgogliosi e soddisfatti.

da Antonio Solano

Sono stato iscritto al Pci, perchè nipote di 'Partigiani' e perchè nella sez. Lenin era iscritta una compagna ,che scriveva sull'Unità, molto carina! Avevo anche due obiettivi politici motivanti : un mercatino rionale ed un edificio pubblico del centro storico. Per costruire il mercatino il Comune ha impiegato circa 20 anni, ed ora è in stato di semi-abbandono. L'edificio pubblico da ristrutturare invece , non è stato mai completato, ma occupato a più ondate da abusivi. Ed anche il 'Rinascimento' è trascorso invano. Sic!

da Rita Ferraris

Sono nata nel 1931 in una famiglia di operai, mio papà comunista e sappista alla Nebiolo di Torino dove lavorava durante il periodo della Resistenza. Sono stata iscritta al PCI dal 1945 sino alla Bolognina. Nella mia gioventù ho condiviso sia nel partito comunista che negli organismi collaterali, FGCI e circolo ricreativo tutte le varie fasi di lotte e conquiste per la classe operaia.
La sezione 32° di Torino è stata per me il luogo in cui ho iniziato a confrontarmi con gli altri e in cui ci riunivamo per discutere sui massimi sistemi, magari esagerando, ma che ci hanno aiutato a crescere. Ho venduto, con i miei compagni, l’Unità casa per casa come si usava allora ed ho continuato a fare attività in tutte le varie fasi della mia vita. Lotte sindacali, decreti delegati nella scuola e soprattutto la consapevolezza che essere comunista per me era raggiungere uno stato sociale di eguaglianza e libertà per tutti. Naturalmente ci sono state parecchie disillusioni, ma in fondo al cuore ero e rimango comunista.
Ricordo più commovente, il primo maggio del 1945, quando ci fu il primo corteo dei lavoratori con i partigiani che erano scesi dalle montagne.
Ricordo piacevole, la partecipazione a un soggiorno organizzato dal PCI a Cervinia nel 1946, in cui conobbi Umberto Terracini, e il figlio di Togliatti insieme a molti altri grandi dirigenti del nostro Partito.
Ricordo impegnato, la partecipazione alla formazioni di liste democratiche nella scuola in rappresentanza dei genitori quando nacquero i Decreti Delegati. Nel 1974, anno della prima votazione per i DD, quando mia figlia frequentava la scuola media, passammo la notte in macchina davanti alla scuola per presentare la nostra lista come faceva il PCI per essere “il primo a sinistra”. In realtà la nostra era l’unica lista e prendemmo comunque un mare di voti. In tale occasione conobbi moltissime persone che ebbero fiducia nelle mie idee comuniste tanto che ebbi un notevole numero di preferenze quando mi presentai candidata al Comune di Torino nel 1975, seppur non sufficienti per essere eletta.
Ricordo triste, lo scioglimento del PCI e la conseguente diaspora di compagni in più partiti di sinistra che non riescono a coagularsi in una nuova forza che porti avanti i valori e gli ideali della sinistra democratica e dei lavoratori (esistono ancora).

Sono fiera di aver avuto dei genitori comunisti , di essere vissuta da comunista e di aver trasmesso anche a mia figlia questo ideale.