sabato 26 novembre 2011

da Angelo Pavia

Ero un giovane di 20 anni, come tanti che cercavano di
sbarcare il lunario tra un'ideologia proveniente dall'est
europeo o una Divina Provvidenza che potesse dare una
speranza di vita. Qualcuno disse che si poteva trovare un
accordo tra questi due filoni, lo chiamò "compromesso
storico", ma pochi capirono il vero significato. Enrico
Berlinguer, segretario del PCI, si impegnava per insegnare
che l'Italia era diversa dall'URSS e che il nostro percorso
doveva essere completamente diverso.
Un giorno di fine inverno, il 16 marzo, rapirono il
presidente del maggiore partito del momento. La Democrazia
Cristiana, nel bene e nel male, rappresentava la storia
italiana dal dopoguerra e Aldo Moro era tra le maggiori
personalità politiche di quel tempo.Erano periodi bui, li
chiamavano "anni di piombo". In nome di una
pseudorivoluzione si sparava. Si uccidevano persone che,
semplicemente, facevano il loro lavoro. Ero a casa di un
amico, ci eravamo iscritti alla facoltà di Portici, quella
di agraria. La madre accese la tv e dopo poco capimmo che
niente sarebbe stato più lo stesso. Furono settimane
tremende, si temevano perfino le sorti della Repubblica. Il
9 maggio 1978 fu ritrovato il corpo di Aldo Moro ucciso
dentro ad una Renault 4. Avevo le chiavi della sezione
Arenella di via Giotto. Senza prendere tempo, parlando con
qualcuno, la aprii, presi la nostra bandiera e la posi
vicino ad un albero sulla strada con un drappo nero di
lutto. Era giusto che il PCI si dovesse sentire a lutto per
la morte di un autorevole avversario?
Avevo vent'anni e poca esperienza, ma forse il gesto fu
gradito. Mi ritrovai, dopo non molto, a collaborare con
l'apparato tecnico della Federazione, quella di via dei
fiorentini. Non ho mai avuto ambizioni politiche, ma aprire
le porte scorrevoli a tanti dirigenti mi faceva sentire
importante. Soprattutto mi emozionava poter far entrare una
persona che si vedeva subito che era ad un livello più alto
degli altri. Ci son voluti 30 anni, ma ora è Presidente
della Repubblica!
Un giorno mi chiesero se, per fare il turno di notte,
volevo la pistola. Capii che quel "lavoro" non era per me.
Non avevo speranze, dovevo emigrare per trovare un lavoro
onesto. Quando vidi alcuni miei amici vendere sigarette di
contrabbando per guadagnare qualcosa capii che dovevo
emigrare. A Napoli o vivi colluso con la malavita o te ne
devi andare. Posi il problema politico che se partivano
sempre e solo gli onesti sarebbero aumentati sempre di più
i malavitosi, ma per me era già tardi.
La mia storia non è diversa da quella di tanti giovani
che hanno vissuto il travaglio della fine di un grande
partito del secolo scorso. Dalla campagna elettorale per
Valenzi sindaco al festival dell'Unità di Napoli del '76,
dalla strategia della tensione alla morte di Enrico, dalla
caduta del muro alla nascita del PDS, c'è chi ha resistito,
chi ha abbandonato la militanza, chi è andato in altri
partiti, qualcuno addirittura nel campo avverso, ma tutti
abbiamo avuto in tasca la tessera del PCI.

Nessun commento:

Posta un commento