mercoledì 30 novembre 2011

da Fabrizio Rondolino

L’anno doveva essere il 1977, l’anno della rivolta giovanile contro il Pci; avevo 17 anni e a Torino ogni corteo finiva male, e noialtri della Fgci finivamo quasi sempre per prenderle. Però bisognava “stare nel movimento”, secondo la linea di allora, e dunque insistevamo caparbi.
Come responsabile della cellula del mio liceo, l’Alfieri, avevo diritto ad una copia della chiave della sezione del partito. Al piano terra della Garibaldi c’era un circolo Arci, dove avevamo l’abitudine di bere frizzantino e consumare quintali di noccioline americane; al primo piano c’era la sala riunioni.
Un pomeriggio salii con Silvia, la mia fidanzata. A quei tempi stare un po’ da soli era sempre un problema: le mamme erano casalinghe e i papà erano severi (quello di Silvia, oltretutto, leggeva il “Giornale” di Montanelli). A volte ci rifugiavamo nell’appartamentino di mia nonna, che d’estate viveva in campagna: anche di quello custodivo una chiave, ottenuta però illegalmente. Il sabato sera s’andava tutti a casa di Marco, dirigente della Fgci, perché i suoi genitori partivano per la montagna; la casa era grande e, ad un certo punto della serata, dal salotto alcuni di noi passavano alle stanze.
Ero insomma nella sala riunioni della mia sezione – libreria con i classici del marxismo, ritratto di Gramsci alla parete, bandiere arrotolate in un angolo, scrivania di legno e sedie di varie fogge, pile di volantini avanzati – insieme alla mia ragazza – bellissima, non iscritta ma simpatizzante, attiva nel Collettivo femminista della nostra scuola – quando sentii la serratura scattare e la porta improvvisamente aprirsi.
Era il segretario di sezione in persona.
Per me, fu come essere sorpreso dal vescovo a mangiare la cioccolata nel tabernacolo. Raramente nella vita ho provato tanta vergogna, tanto imbarazzo, e tanta indegnità. Come potevo disonorare in quel modo una sezione del grande Partito comunista? Silvia era anche più imbarazzata di me, ma aveva il vantaggio di non avere la tessera. Mentre uscivamo più rossi di una bandiera, Paolo, il segretario, mi disse con un tono insieme fraterno e severo che era successa una cosa del tutto normale, ma che era meglio non farla più in sezione.
Passeggiammo per corso Dante fino al Valentino, Silvia ed io, senza scambiarci troppe parole; poi lei prese il tram per tornare a casa. Attraverso il finestrino che s’allontanava la vedevo ridere, e anch’io scoppiai in una risata allegra e definitiva. Ero felice di stare con Silvia, ero felice di stare nel partito.

1 commento:

  1. Eh eh eh...E' capitato anche a me! Accesi inavvertitamente le luci dell'insegna luminosa che dava sulla strada dimenticando che un compagno della segreteria abitava proprio di fronte alla sezione...

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