lunedì 21 novembre 2011

da Fausto Valtriani

I giovani del Pci, per uno strano fenomeno biologico, da giovani erano vecchi ma con l’avanzare dell’età iniziavano a ringiovanire .
Erano intelligenti, seri, studiosi, un po’ grigi; quelli che andavano all’Università finivano quasi tutti gli esami ma in genere, presi dalla politica, si dimenticavano di laurearsi. Io ho recuperato tardivamente procurando un’immensa gioia ai miei genitori che ormai non ci speravano più.
Leggevano L’Unità, Rinascita, Critica Marxista e Politica ed Economia, io, studente in giurisprudenza, leggevo anche Democrazia e Diritto.
Vestivano in maniera sobria, anonima, in pubblico non ridevano quasi mai.
Erano invidiosi di quelli di Lotta Continua che invece se la spassavano un sacco.
Erano tutti Ingraiani, ma con il passare del tempo gli iniziavano anche a piacere Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano.
Anch’io ero Ingraiano, e conservo ancora gelosamente tutti i suoi libri.
Ascoltando o leggendo Pietro Ingrao sentivi il profumo della politica, respiravi a pieni polmoni un’aria leggera, soffice, ti sembrava di volare alto sul mondo, ti faceva sentir bene. Gli uomini politici come Ingrao si contano sulle dita di una mano.
I giovani del Pci partecipavano a tutte le riunioni e intervenivano alle assemblee di partito, che allora si chiamavano “attivi”.
Per intervenire si preparavano scrupolosamente; l’intervento era quasi sempre scritto, i più audaci seguivano una “scaletta”. Se il compagno della federazione che “tirava le conclusioni” ti citava una più volte richiamando il tuo intervento, eri stato bravo. Quando al contrario faceva generici riferimenti al tuo intervento senza citarti per nome, ti stava stroncando senza pietà e tutti si giravano a guardarti con commiserazione. Il giudizio più temuto era quello di Giuseppe De Felice, il più grande segretario di federazione che sia mai esistito. Prendere la parola nelle riunioni a cui lui era presente, per i più giovani, rappresentava un atto di grande coraggio.
La domenica i giovani del Pci diffondevano l’Unità.
I più bravi spesso venivano inviati alla scuola di partito e poi diventavano funzionari.
Anch’io sono stato per un brevissimo periodo alla scuola di partito, non alle Frattocchie, a quella di Albinea a Reggio Emilia. Tema del corso “L’austerità“. Una noia mortale e una fatica indescrivibile: in piedi all’alba e la sera a letto presto. Tutto il giorno in aula e poi a studiare in camera.
I funzionari di partito guadagnavano poco e non avevano i contributi; quando le elezioni andavano male era tutta colpa loro, dei“burocrati”. Quando andavano bene il merito era di tutti.
Io non ho mai voluto fare il funzionario di partito, ma li ho sempre ammirati e rispettati. Grazie a loro il Pci è stato un grande partito, grazie ai loro sacrifici, alla loro tenacia alla loro passione politica.
Oggi i giovani dei Democratici di Sinistra sono molto simili a quelli del Pci: mostrano le stesse caratteristiche biologiche. Speriamo che anche loro invecchiando inizino a ringiovanire.
Sono un po’ meno preparati, sono meno abituati al contatto con le persone; spesso da sé se la cantano e da sé se la suonano. Identificano la politica con le riunioni, ne fanno troppe e quasi sempre inutili e fine a sé stesse. La domenica non diffondono l’Unità, raramente distribuiscono volantini, mentre sono abilissimi con Internet.
Vestono bene, con garbo, sono intelligenti, studiano e quasi tutti si laureano.
Non pochi di loro sono gay e sono i più bravi e i più generosi; forse c’erano anche tra i giovani del Pci, ma non si poteva sapere.

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