lunedì 21 novembre 2011

da Antonio Pazienza

Sono stato iscritto tanti anni al PCI, sono stato Segretario cittadino in una realtà nemmeno troppo piccola. Ho avuto diversi incarichi dirigenziali a Torino, in Puglia e in Valle d'Aosta. Nonostante questo faccio fatica a raccontare un episodio di cui porto un ricordo piacevole se non la lite con Fassino. Mi pare fosse l'80, in una raccolta dati elettorali nelle elezioni di sconfitta del PCI dopo il boom del 76. Per il resto ricordo tensioni, scontri oltre ogni limite anche quello delle calunnie. Le feste dell'Unità erano diventate un peso che dovevi sorbirti perché dirigente e a cui nessuno più credeva. Altre volte noia. Poi verso la fine degli anni 80, ero in Puglia, ho cominciato a capire che il Partito era diventato un forte elemento di conservazione, innanzitutto sul piano sociale. Tanti militanti ormai anchilosati ad una storia. Molti di questi avevano fatto diventare la militanza il proprio lavoro per cui cacciarli voleva dire licenziarli. Ovviamente questa conservazione sociale si traduceva in conservazione culturale e politica. La mia vita nel Partito, nata a metà degli anni 70 a Torino, cessa nella metà degli anni 90 ad Aosta. Qui mi sono reso definitivamente conto che quell'elemento di conservazione era diventato cancro.
Detto questo non rinnego l'esperienza e la mia storia. Credo di aver avuto molto sul piano della crescita individuale e nella capacità critica della realtà.

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