venerdì 18 novembre 2011

da Daniele Repetto

1963, la prima tessera

“Si può?”. Avevo socchiuso la porta a vetri e infilato timida mente la testa all’interno. Con un filo di voce ave vo chiesto permesso a un ragazzo seduto alla scri vania, la testa china su un libro.
“Vieni dentro e chiudi la porta, che fa freddo”, aveva risposto quello, quasi senza smettere di leg gere.
“Ti serve qualcosa?”, aveva poi domandato.
“Vorrei iscrivermi al Partito”.
“Non sei un po’ troppo giovane?”
“Ho quattordici anni”, avevo mentito. Ma era una bugia piccola, perché ormai mancavano solo due mesi.
“Facciamo una cosa: tu cominci a frequentare, vieni alle riunioni. Poi vediamo”. Era cominciata così, dopo settimane che passavo e ripassavo davanti alla sezione senza trovare mai il coraggio di entrare. La sezione era sulla strada, una porta a vetri su via Montesanto, al quartiere Prati. Uno stanzone con al centro un tavolo e qualche sedia, una libre ria, manifesti appesi alle pareti. Salendo tre scalini si arrivava in una stanza più piccola, con una finestrella sempre aperta per fare uscire il fumo delle sigarette. Qui si riuniva il direttivo. Dovunque, copie de “l’Unità”, “Vie Nuove” e “Noi donne”, rotoli di manifesti con il simbolo del Partito, libri di Togliatti, locandine di spettacoli teatrali. Si era in piena campagna elettorale per le politiche del 28 aprile 1963. Fu anche per questo motivo che nessuno fece troppe storie per accettare il nuovo arrivato. Servivano persone che andassero in giro ad attaccare i manifesti e a distribuire i volantini. E poi c’era la diffusione militante del giornale, la domenica mattina. Alle 8,30 appuntamento in sezione, un pacco di giornali ciascuno e via, nella propria zona, a suonare casa per casa cercando di vendere “l’Unità”. Ormai, la gente del quartiere si era abituata. Quando i comunisti bussavano alla porta, gli abitanti andavano ad aprire, magari rifiutavano il giornale, ma senza cattiveria. Il problema vero erano quelli che il giornale lo volevano: attaccavano dei bottoni che non finivano mai, non la smettevano di parlare. Così il giro si allungava. Non era pensabile rientrare senza aver venduto tutte le copie. A me piaceva girare per le case e per le strade, fermare la gente, dargli un volantino, offrirgli il giornale.
Di politica capivo poco, nei dibattiti ero sempre silenzioso, mi limitavo ad annuire. Ma come diffusore non avevo rivali.

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