mercoledì 30 novembre 2011

da Sergio Duretti

Ho tre flash molto nitidi del mio rapporto con i comunisti e con il
Partito Comunista.
Il primo è di fine anni settanta. Ero già grande - ovvero maggiorenne
- ma a scuola ero stato quello che si dice un "cane sciolto" in un
Liceo in cui non c'era praticamente la FGCI e dominava ciò che
rimaneva di Lotta Continua.
Mi ero impegnato senza etichette ma in quella zona grigia tra
università e lavoro - che sarebbe iniziato dopo pochi mesi - decisi
una sera di varcare la porta di una sezione del PCI.
Stava a meno di 300 metri da casa mia e mi ricordo che quando entrai
vide un moto tra la sorpresa e la curiosità che uno sbarbatello
arrivasse così.
Il bello del "grande partito comunista" era che trovarlo era facile.
Io che vivevo in una città della periferia torinese diventata grande
per le fabbriche e per dare una casa agli operai lo potevo trovare
ovunque. Altro che una sezione ogni campanile. Lì le sezioni erano
almeno il doppio se non il triplo dei campanili.
Mi ricordo che partecipai quella sera a una riunione sul Piano
regolatore generale - allora era un tema caldissimo - e per quanto ne
capissi poco o nulla, avvertii che chi c'era non si ponava problemi
circa la presenza di uno mai visto. Fu l'inizio di un percorso che
dopo 5 anni mi portò fare il consigliere comunale ma questa è un'altra
storia.
Il secondo flash è di metà degli anni ottanta e mi permette di (far)
comprendere meglio cosa significava essere comunisti. La cosa
raccontata oggi è anche divertente ma al tempo fu tragica. In sostanza
comunico a mio padre - che così indirettamente ricordo - che ho deciso
di lasciare la mia storica fidanzata del liceo. Lui che si era fatto
chissà quali idee su unioni e prossimi nipotini - ndr per inciso avevo
23 anni - commenta furibondo la cosa lanciandomi l'anatema per lui più
tremendo: "da questo momento non potrai più dirti comunista". Io cerco
di spiegargli che cosa cavolo c'entra una scelta personale con
l'essere o meno comunisti ma lui è irremovibile. A lui togliattiano e
poi berlingueriano di ferro anche soltanto il venir meno a un
"fidanzamento" suona come una tremenda colpa. Non mi ha parlato per
una settimana e poi se ne è fatto una ragione, ma la dice lunga sui
comunisti diventati tali dopo la Resistenza e forgiatisi negli anni 50
e 60.
Il terzo flash è di fine anni ottanta. Per quelle strane combinazioni
che ti riserva la vita approdo a Botteghe Oscure - anche se
l'indirizzo della FGCI era via Ara Coeli - nella nuova FGCI nata dopo
il Congresso di Napoli del 1985. Sono anni belli che cambiano
profondamente il mio modo di vedere le cose. E' l'incontro con persone
e lingue nuove - io che arrivo dalla città industriale per antonomasia
-, è la scoperta del Sud e delle sue meravigliose persone, è il
tentativo di costruire nuovi ponti tra diverse culture che per me
trova la massima espressione (incompiuta) nella realizzazione della
Rete delle coerenze operose - titolo del Congresso dei Circoli
territoriali del 1990 - che a inizio anni 90 prova a tessere un nuovo
rapporto tra la politica e la società di chi opera nel volontariato,
vicino a vecchie e nuove povertà. Ma è anche l'esperienza che mi fa
comprendere perfettamente che desidero tornare a fare un lavoro nella
società aggiornando quello che ho lasciato appena 3 anni prima, che
desidero continuare a occuparmi di ciò che mi circonda e che lo posso
e lo voglio fare proprio perché l'esperienza che ho avuto la
possibilità di fare e a cui ho dato tanto - in tempo, in passione - mi
ha restituito tanto e ha fatto di me una persona che si sente
migliore.

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