lunedì 21 novembre 2011

da Domenico Pennone

Sono entrato nel mondo del PCI giovanissimo, dopo aver letto un
libricino rosso pieno di follie. Grazie a quella che mi sembrava una
gran famiglia, ho scoperto che studiare è un’arma per evitare di
essere fregato e che la sfiga di nascere in una famiglia povera la
combatti anche nobilitando quella appartenenza.Era il 1978 o forse 79,
ospite del ghetto di Frattocchie, la scuola di partito, dove si
studiava la superiorità e la bellezza della politica, dove arrivavi
presto ad una sola conclusione, per studiare sul serio ne devi uscire.
Di campani, come al solito, ce ne erano tanti e come sempre erano
quelli che animavano il clima, anche troppo. Due mesi prima, durante
un altro corso, un giovane e promettente salernitano l’aveva fatta
grossa, rischiando di far escludere per sempre i figgicciotti dalla
scuola. Un lavandino rotto e Luciano Gruppi che si rifiuta di far
lezione, un pasticcio insomma. I partenopei, considerati troppo
esuberanti, furono allora confinati, per evitare altri guai, in quella
che chiamavano la villa di Corvalan. Una specie di dependance,
distante dall’edificio centrale dove si tenevano i corsi e dove la
sera si beveva qualcosa al bar. I guardiani, dopo le 23, lasciavano i
cani liberi e tornare in camera troppo tardi era un rischio. Una sera
Siro, che era con noi nella dependance, trovò la sua stanza messa a
soqquadro, tutto buttato per aria e qualcosa a lui caro era sparita.
Di quello stupido scherzo io ne fui ingiustamente accusato e so per
certo che Sirio non mi ha mai perdonato. Dopo più di trent'anni vorrei
dirgli che io non c’entravo nulla e che ancora mi dispiace di non
essere stato creduto. Io ero solo quello che appariva il più cattivo,
perché, forse, venivo dall’estrema periferia o perché non avevo fatto
il classico. Provai, comunque, una forte amarezza, la stessa che vissi
pochi mesi dopo ad un’importante conferenza dove mi avevano chiesto di
fare da relatore. Il discorso, per fare bella figura, lo avevo scritto
e lo lessi con risultati pessimi. Scendendo dal palchetto ascoltai
Velardi parlare con un altro dirigente nazionale della FGCI, le sue
parole furono per me una mazzata terribile: “Ma dove lo avete preso a
questo?”. Fu forse l’ultima volta che provai ad avere un ruolo da
protagonista nell’organizzazione. La serata finì comunque bene,
incontrai quella che sarebbe stata la mia compagna.Nel PCI ho
conosciuto le donne e l’amore, ho vissuto l’amicizia e inimicizia, ho
digerito il concetto di amico-nemico, ho imparato a distinguere i
totem dai semafori, ho vinto i tabù e compreso il piacere della
dissolutezza.Nel PCI ho conosciuto uomini che prestavano il proprio
prestigio alla politica ed ho imparato ad evitare quelli che usano la
politica per crearsi un prestigio. Il PCI mi ha dato, nel bene e nel
male, un’appartenenza, una comunità di cui sentirmi parte, una
comunità in cui impari a dissentire fino a non volerne più far
parte.

Nessun commento:

Posta un commento