venerdì 18 novembre 2011

da Ciro Becchimanzi

Napoli, anni Ottanta. In via dei Fiorentini, nel fine settimana, tra le doppie porte blindate della federazione provinciale, se passavi o ti fermavi, se ci entravi perché ci “lavoravi” (cioè facevi il funzionario), oltre a quei simpatici grugni di Aniello e Ivan, potevi incocciare un frammento di Storia che scorreva. I pezzi grossi del partito, quelli che stavano a Roma, tornavano a casa il venerdì pomeriggio. Chi, come me (giovane dirigente della Fgci), aveva la ventura di attardarsi nelle stanze o talvolta la sventura di dover aspettare il segretario Umberto Ranieri per fargli d’autista, rigorosamente precettati dal Maresciallo (figura che meriterebbe un capitolo a parte), poteva imbattersi nello stato maggiore quasi al completo del Migliorismo italiano.
Due su tutti.
Gerardo Chiaromonte era direttore dell’Unità. Prima di salire al primo piano per vedere Ranieri si fermava nella portineria e chiedeva al centralinista di chiamargli la redazione a Roma. Ancora col cappotto e la borsa tra le mani, impugnava la cornetta e con la sua inconfondibile parlata bofonchiava gli ordini a Sansonetti, il caporedattore. “In prima, apertura sul discorso del segretario. Metti la foto del comizio. Taglio basso sulle fabbriche occupate. No… l’intervento di Ingrao mettilo dopo…”. Spiavo inebriato quella dimostrazione di potere, anche perché si capiva che dall’altro capo del telefono non si poteva fare altro che ubbidire.
Giorgio Napolitano a quel tempo era il “ministro” degli esteri del partito. Nappi, il segretario della Fgci napoletana, lo invitò a presentare un libro che avevamo “prodotto in casa”, una raccolta dei discorsi sulla pace di Enrico Berlinguer. Ero uno dei pochi con la patente e mi toccò andarlo a prendere a Napoli Mergellina. Mollò la borsa a Robertino (il nostro dirigente-gorilla), si accomodò, non senza difficoltà, nell’utilitaria di servizio e mentre facevamo rotta sul Circolo della Stampa, aprì il libro che doveva presentare e si mise a sgranare un rosario imbarazzante di critiche e stroncature (aveva sottolineato i refusi e gli strafalcioni con una matita rossa!). Roberto ed io eravamo annichiliti. Quando, poco dopo, il Presidente prese la parola in pubblico, oltre a parlare di Berlinguer, replicò pari pari le cose dette in macchina. Nappi non invitò più Napolitano e smise di pubblicare libri.

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