martedì 29 novembre 2011

da Osvaldo Cammarota

Accadde in Via Pigna a Napoli, il 10 maggio del 1983, a me e ad altri Assessori della Giunta Valenzi, tra i quali Andrea Geremicca, all'epoca anche Deputato del PCI. Per i dettagli rinvio alla stampa dell'epoca. "Come ai tempi di Scelba" titolò, tra gli altri, l'Unità. Eravamo al servizio dello Stato e vicini ai senzatetto. Fu forse questa la colpa che ci colpì?

Eravamo un braccio dello Stato per fronteggiare un'emergenza causata dal terremoto del 1980 in un contesto a dir poco inquietante: 35.000 famiglie sgomberate dai loro alloggi (quasi tutte povere e numerose); le Brigate Rosse puntavano sul disagio popolare per seguire le loro strategie "rivoluzionarie"; noi nel mirino delle BR, come altri politici e amministratori già feriti o uccisi; un'intera città sull'orlo del collasso. Uno Stato impreparato a fronteggiare simili disastri ci autorizzò a requisire temporaneamente gli alloggi sfitti. Noi lo facemmo, a vantaggio di chi aveva perso tutto. Il governo dell'epoca, attraverso Zamberletti, riconobbe che se non ci fosse stato il PCI al governo della città, a Napoli ci sarebbe stata la rivolta.
Nel frattempo però, un altro braccio dello Stato ritenne di eseguire con violenza una sentenza di sfratto degli alloggi requisiti e occupati dai terremotati. La sentenza fu emessa da un giudice che, evidentemente, non era informato dei fatti o era reso cieco e sordo dalla potenza del ricorrente.
Che dovevamo fare? Noi ci mettemmo in mezzo, per cercare di spiegare la situazione e ricercare soluzioni più praticabili. Nulla da fare. Gli apparati esecutivi della Polizia ebbero la mano pesante, la carica travolse persino i loro colleghi della Digos, in borghese incaricati di proteggerci dalle BR.

Questo "mettersi in mezzo" -persino fisicamente- era uno dei tratti che faceva del PCI un Partito moderno e Costituente della società italiana. Seppur con tanti limiti e contraddizioni interne, il PCI esprimeva la sua vocazione di governo nel tentare di risolvere le contraddizioni della società.
Si comprenderà che, all'epoca 28enne, cominciai a nutrire qualche dubbio sulla unitarietà dello Stato, sulla uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.... ma eravamo convinti -e per quanto mi riguarda lo sono ancora- che la ragion d'essere di un Partito è proprio quella di risolvere le contraddizioni e i conflitti sociali, non certo di riprodurli al suo interno.

L'unica soddisfazione l'ho avuta 12 anni dopo, quando un mio collaboratore, apprezzando come svolgo il mio attuale mestiere di Operatore di Sviluppo Territoriale mi confessò: "Osvà, eppure io ero uno di quelli che ti doveva sparare ...". Ma questa è un'altra storia. Il PCI già non c'era più.

1 commento:

  1. A quei tempi abitavo nel Rione Traiano dove era stato assegnato un alloggio alla mia famiglia in quanto profughi provenienti dalla Tunisia; quindi avevo già ampiamente sperimentato che i cittadini "non sono eguali davanti alla legge". Mio padre era stato umiliato da un funzionario della Regione solo per aver chiesto di essere aiutato per mandarmi all'Università. Avevo un tesserino dell'Ufficio collocamento con su scritto "assunzione obbligatoria" ma non mi fu mai dato il lavoro. Militavo nel PCI per cercare di ridurre le ingiustizie. Evidentemente ero troppo ingenuo. Lo penso ora, con certezza, dopo aver letto questo articolo. Come si poteva pensare nel 1983 di poter stare allo stesso tempo al servizio dello stato e vicini ai senzatetto? Ero consigliere della circoscrizione di Soccavo e non ho mai pensato di essere servitore dello stato sic et sempliciter. Provavo a garantire i diritti di quelli che avevano perso la casa o non l'avevano mai avuta, ad esempio. Mi appare strano che la carica dei poliziotti vi abbia tanto scosso. Mi è chiaro allora perché lo scioglimento del PCI divenne necessario; tralasciando le questioni di geopolitica, dello stato sovietico, dello stalinismo e così via (di cui non ho nessuna nostalgia, sia ben chiaro).

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