mercoledì 23 novembre 2011

da Francesca Contarello

Avevo 16 anni, era quindi il 1978.
Dal ricordo della giacca di panno pesante a riquadri bianchi e neri poteva essere ottobre.
Era il mio primo attivo della Fgci a cui partecipavo.
Via Beato Pellegrino, Padova, Sala Rossa. Alle pareti grandi ritratti dei nostri padri politici. In fondo un lungo tavolo di legno scuro, antico, e dietro il segretario di allora, Pietro Folena e con lui altri compagni del Direttivo.
La sala era affollatissima e io ero seduta in una delle ultime file. Tutto si svolse con la solita puntuale, meticolosa ritualità . Ascoltavo attenta , emozionata e un po’ agitata. Ero per la prima volta in un posto importante. Il Segretario fece la sua lunga relazione iniziale dopo essersi tolto l’orologio e averlo appoggiato al tavolo. Seguirono poi molti interventi dei compagni, con un ordine e una successione solo apparentemente casuale ma che in realtà rispecchiava il ruolo, l’età e la preparazione. I compagni e le compagne più giovani, senza un incarico o una responsabilità particolare intervenivano verso la fine del dibattito. Era così, ed era giusto così. E poi arrivò il momento delle conclusioni. Non mi ricordo chi fece l’intervento finale, mi ricordo che fu seguito da un lungo applauso.
Erano passate circa tre ore in cui nessuno era uscito o entrato, nessuno si era alzato. Io avevo riempito un quadernetto di appunti.
Alla fine degli applausi feci una cosa “stonata” . Avventata e indisciplinata come ero, alzai la mano: nella mia ingenua arroganza chiedevo di intervenire. Mi sentii tutti gli occhi puntati addosso. Da dietro il tavolo un compagno, allibito, con tono fermo e giudicante mi disse che non era possibile, non era contemplato intervenire dopo le conclusioni.
Capii di essere entrata in un mondo dove le gerarchie avevano la giusta importanza.

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