martedì 22 novembre 2011

da Giancarlo Arcozzi

Qui in Emilia-Romagna la militanza nel PCI aveva molto a che fare con la gestione del potere. E perciò il fascino della militanza andava a sbattere con il realismo dell'Amministrazione. E il partito non riusciva ad essere "intellettuale collettivo" e neanche organismo solidale. La mia scelta di lasciare il lavoro per entrare nel Partito nel 1979, si è rivelata una tragedia. Dopo 8 anni alle dipendenze del PCI, passai al movimento cooperativo dirigendo con buoni risultati due Consorzi unitari (Lega/ConfCoop). Nel '98 vengo licenziato con motivazioni palesemente pretestuose, e con l'assicurazione dei due presidenti che presto avrei avuto un nuovo incarico. Passano le settimane e comincio a chiedere spiegazioni e sostegno a tutti i compagni. Tutti di nebbia: ho toccato con mano la meschinità e la mediocrità morale di gente che pure amministrava risorse pubbliche e/o predicava ideali socialisti. Dopo 8 mesi, il segretario della Federazione mi aiutò a impiegarmi con un contratto di collaborazione. Se nel '79 non avessi fatto quella scelta oggi sarei in pensione e vivrei dignitosamente. L'abbandono totale che ho subito ha stravolto la mia vita e soprattutto ha traumatizzato mio figlio. Sono ancora disoccupato in attesa di pensione e spero tanto che la proposta di Fini, di togliere la pensione ai parlamentari, abbia successo.
E' vero che sono intransigente e che ho contrastato alcuni episodi di corruzione/clientelismo, ma voglio sperare che la mia misera esperienza nel PCI non sia dipesa da ciò.

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